Senso di vuoto

ROI TEAM IMPULSE
scritto da
5441Senso di vuoto
Horst Völser

Lo scrittore Ingo Schulze, nato a Dresda nel 1962, descrive sull’Handelsblatt il disagio che lo ha colpito: “La nuova ovvietà è un economismo omnicomprensivo. Il pensiero di qualcosa che non sia ‘redditizio’, che non serva alla crescita, derivante dal principio McKinsey, esiste quasi solo marginalmente”.

Personalmente ritengo che l’assoluta dedizione alla “produttività economica” non dia solo origine al benessere materiale, bensì anche a un vuoto in ambito personale. L’agiatezza economica è, sì, fonte di tranquillità, ma raramente di senso della vita.

La ricerca di tale senso è antica quanto l’uomo ed è espressa soprattutto dalla religione e dalle “attività a favore della collettività”.

La religione soddisfa questa ricerca, soprattutto attraverso la fede in “qualcosa di più elevato”, in un miglioramento nella prossima vita.

Le attività socialmente utili soddisfano nell’immediato. Fare qualcosa che non va solo a vantaggio del singolo, ma della società, è appagante e sensato: il detto “è meglio dare che ricevere” lo esprime chiaramente. Ma questo dare ha molte sfaccettature: può essere una donazione o un aiuto nella risoluzione di un problema, la cura di un ammalato, ma anche una conversazione con una persona sola. Che sia tempo o denaro, è sempre una soddisfazione per il donante.

La partecipazione alla banda musicale o ai boy scout, ai vigili del fuoco o al gruppo di autoaiuto per i pazienti affetti da cancro è un’attività sensata che, oltre a rappresentare un contributo a favore della collettività, dona al “benefattore” una sensazione di gratitudine e sensatezza, che appaga il bisogno interiore umano di fare qualcosa di buono per superare il “vuoto economico”.

Spesso si dice che il benessere materiale sia il presupposto per dare un senso alle cose. Ciò non è vero poiché è provato che la sensazione di gioia e soddisfazione è un sentimento che accomuna le “società più povere”, rispetto a quelle economicamente più forti. La domanda chiave è dunque la seguente: “Il benessere materiale ostacola la ricerca di un significato e di felicità?”

Secondo me l’uno (il benessere materiale) non esclude l’altro (il senso delle cose); piuttosto, lo completa. Sono consapevole che l’agiatezza economica implichi anche duro lavoro e, in alcuni casi, inesauribile impegno.

Anche il successo professionale dà soddisfazione, suscita sentimenti di gioia e la sensazione di avercela fatta! Purtroppo però le emozioni legate al successo sono di breve durata: lo stress della quotidianità le dissolve piuttosto rapidamente.

Un senso duraturo si ritrova, di fatto, solo in quelle attività che riteniamo “importanti e giuste” e che promettono sensatezza nel tempo: sentimenti che l’uomo prova, tra le varie cose, svolgendo attività a favore del prossimo, facendo del bene.

La vera sfida consiste nel trovare un equilibrio tra questi due aspetti, un’armonia tra l’aspirazione al benessere materiale e un anelito di soddisfazione personale. Non si dovrebbe scegliere tra l’uno e l’altro, ma dare vita a “sensato connubio complementare”.