Big data, big business. Ma per chi?

ROI TEAM IMPULSE
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Big data, big business. Ma per chi?
Moritz Jäger

Lo spunto che mi ha incoraggiato a scrive­re questo Manage­ment Memo nasce da due articoli che ho letto di recente. Con l’eloquente titolo “Wie groß ist Big Data?” (“Quanto sono grandi i big data?”) il magazine eco­no­mi­co brand eins smonta il clamore attorno a questo concetto. La rivista svizzera Magazin descrive invece il ruolo rivestito dai big data durante la campagna eletto­rale ameri­cana e nel referendum sulla Brexit.

Due articoli, due ottiche diverse.

Questo Management Memo illustra in breve il termine big data (1.), spiega di cosa si tratta (2.) e indica chi è coinvolto dalla questio­ne e quale contributo può fornire ROI TEAM al riguardo (3.).

 

1.   Cosa sono i big data?

Con il termine “big data” si intendono ingenti volumi di dati che possono essere strutturati con un certo grado di complessità e/o modi­fi­ca­ti in modo dinamico. Il loro trattamento non richiede solo elevate capacità di memo­rizzazione e di calcolo, ma anche – e soprat­tutto – l’intervento di esperti. Grandi quantità di dati sono quelle genera­te, ad esempio, dalle telecomunicazioni (complici, in primo luogo, inter­net e la telefonia mob­ile), dagli stru­menti di misurazione impiegati nella ricerca o nella produzione in­dustriale o, ancora, dai mercati finanziari.

Esistono aziende e organismi pubblici che, loro malgrado, si ritrovano adover gestire una consistente mole di dati (è il caso di aziende energetiche, enti previdenziali, uffici di statistica, ecc.); poi ci sono imprese che raccolgono dati per conoscere e valutare in termini commerciali gli interessi e le abitudini dei consumatori (marketing e pubblicità mirata); infine tutte quelle azie­nde che si chiedono: ma io in tutto questo che cosa c’entro?

 

2.   Big data: di cosa si tratta?

Segnalo i tre aspetti, a mio avviso, più interessanti tratti dall’articolo di brand eins.

a)    I big data richiedono dati validi. Uno studio condotto negli Stati Uniti ha cercato di appurare se le ricerche effettuate su internet permettessero di prevedere la diffu­sione di virus influenza­li in modo più efficace rispetto ai sondaggi, a prim­a vis­ta relativamente obsoleti, svolti tra i medici sotto la direzione delle autorità sanitarie statunitensi. “Google Flu Trends” (tendenze influenzali su Google) sembrava infatti promettere risultati migliori e più veloci.

Il problema: una ricerca su Google del tipo “sintomi influenzali” o “farmacia Bolzano” non significa necessariamente che una persona sia influenzata. Il suo potrebbe essere un semplice raffreddore o un interesse a titolo precauzionale. È anche per questo moti­vo che la qualità predittiva di Google Flu Trends si è dimostrata a dir poco scadente. Gli impiegati pubblici con i loro questionari avevano “svolto un lavoro predittivo media­mente migliore”. Perché? Perché si erano rivolti direttamente ai medici, a tutt’oggi ancora gli interlocutori ideali per valutare i disturbi dei pazienti. Le rice­r­che su internet o i dati sull’attività fisica possono sì fornirci preziose informazioni aggiuntive, ma non possono rimpiazzare le diagnosi vere e proprie. Ai fini della raccolta dati, l’uomo è quindi un fat­tore di imprecisione che non va sottovalutato.

 

b)    Disporre di maggiori dati non significa sempre avere dati migliori. Per gran parte delle aziende un maggior volume di dati può significare soprattutto una cosa: un aggravio in termini di lavoro. I big data, infatti, non sono una tendenza da seguire a cuor leggero: o costituiscono u­n pilastro essenziale della strategia aziendale e un requisito tecni­co della performance di un’impresa, oppure non lo sono.

Se, per migliorare l’efficienza dei propri proc­essi, si intende raccogliere grandi quantità di dati, come quelli di misurazione, ad esempio, serviranno un’infrastruttura IT ed esperti adeguati. Nel caso contrario, si dipenderà completamente da società di servizi informa­ti­ci ester­ne. Inoltre, “maggiore è il volume di dati, minore è la spera­nza di un successo a breve termine”, secondo l’autore di brand eins. Il trucco sta nel conseguire i risultati più significati­vi possibili attraverso un insieme di dati ridotto ma efficace.

 

c)    I big data richiedono un approccio globale. Per le aziende che hanno scarsa dimestichezza con l’argomento, i big data possono tradursi in un vantagg­io competitivo solo se esiste un approccio globale pianificato ed equilibrato, dalla raccolta dei dati fino all’interpretazione dei risultati. Se questo non avviene, si rischia di cadere nel tranello descritto alla lettera a), con un elevato dispendio di risorse per esaminare dati di qualità di fatto scadente.

E qui risiede anche il problema principale dei sondaggi elettorali. Intervistati personalmente, gli elettori ammettono con riluttanza di voler vot­are per un partito estremista (preferiscono invece fornire una risposta socialmente accettabile, menzionando un partito rispettabile o affermando di non andare a votare). Le indagin­i demoscopiche online fornisco­no risposte più oneste, ma coinvolgono a stento le persone anzia­ne. Essendo difficile porre successivamente rimedio a queste e ad altre carenze all’interno dei database­, ne conseguono immancabilmente­ proiezioni elettorali falsate e quindi, in ultima analisi, sbagliate.

A tale proposito vi consigliamo l’arti­colo “Ich habe nur ge­zeigt, dass es die Bombe gibt” (“Ho solo mostrato che c’è una bomba”) del settimanale svizzero Das Magazin, che illustra come ormai i socia­l media possano essere utilizzati in modo mirato per raccogliere le idee politi­che e manipolar­le durante le campagne elettorali. I social media – e di conseguenza anche i big data – hanno svolto indubbiamente un ruolo di primo piano nella corsa alla Casa­ Bianca e durante il referendum sulla Brexit: un ruolo la cui portata sarà oggetto di studio e di dibattito ancora per molto tempo. Questo però non deve essere un motivo per abbandonarsi a facili isterismi o a teori­e cospi­ra­torie­, bensì una ragio­ne continua per esaminare con spirito critico le fonti di infor­mazio­ni rifuggen­do regolarmente le casse di risonanza dei so­cial medi­a.

 

3.   Cosa significano i big data per voi e per noi?

In Alto Adige, solo poche aziende gestiscono quantità di dati effettivamente consistenti. Quelle che lo fanno (o devono farlo), se ne occupano già da tempo e guarderanno con compiaciuta ironia il clamore mediatico nato attorno all’argomento.

Tuttavia, a nostro parere, i big data rappresentano anche un termine relativo. Dinnanzi al rapido aumento delle quantità di da­t­i, su questo concetto sembra aleggiare sempre la mina­cc­ia celata di una pressione eccess­i­va. Per imprese di piccole dimensioni, un sondaggio sulla soddisfazione dei clienti o uno studio di mercat­o può costituire già di per sé una grande sfida o persino un aggravio in termini di lavo­ro. Un’azione del genere richiede infatti un certo know-how sul piano statistico e della ricerca empirica, conoscenze di determinati softw­a­re e conoscenze linguistiche, ecc.

ROI TEAM vanta un organico di specialisti e un competente net­work di collaboratori. Se a­vete bisogno di consulenza per la raccolta e la valutazione dei dati, saremo lieti di assistervi, mettendo a vostra disposizione l’esperienza maturata nella realizzazione di impegnativi progetti a lungo termine. Fissate un appuntamento. La prima consultazione è sempre gratuita.