Basilea III: nascita, conseguenze e ripercussioni

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5441Basilea III: nascita, conseguenze e ripercussioni
Horst Völser

La crisi finanziaria è troppo recente e attuale per essere scordata. Oltre al calo della domanda di abitazioni, tra le sue cause scatenanti si cita spesso il crollo del mercato immobiliare statunitense. I finanziamenti concessi ai futuri proprietari di case erano stati garantiti da ipoteche e sembravano, pertanto, sicuri.

Il fatto che, in molti casi, le garanzie fossero insufficienti e la solvibilità dei contraenti dubbia, non venne preso in considerazione, poiché i prezzi in crescita degli immobili sembravano offrire una tutela sufficiente; vennero ignorati anche i moniti di alcuni esperti lungimiranti. Questi crediti vennero poi raggruppati in certificati e trasferiti in forma cumulativa ad altri istituti di credito, in prevalenza banche d’affari. Il continuo accorpamento in “sovracertificati” comportò che, dopo il secondo o il terzo passaggio, i rischi non fossero più chiaramente riconoscibili e, pertanto, anche alcuni titoli classificati come “ottimi”, in realtà, fossero costituiti da “carta straccia”. Poiché molti debitori non erano più in grado di rispondere dei propri impegni finanziari, gli immobili offerti in garanzia vennero venduti sul libero mercato. In base alla legge della domanda e dell’offerta, quando si registra un eccesso di domanda, il prezzo tende a scendere, ed è proprio ciò che accadde: il costo degli immobili andò a picco, le garanzie rappresentate dai certificati si volatilizzarono, i titoli persero di valore e le banche, insieme ai risparmiatori, subirono ingenti perdite.

Le disposizioni di Basilea I, II e III si sono poste l’obiettivo primario di ridurre i rischi delle banche e dei loro clienti, cercando di limitare in primo luogo le operazioni volte esclusivamente a conseguire un profitto speculativo, rendendole così onerose da non essere più convenienti. Basilea I risale al 1988 e ha rappresentato il primo accordo tra le banche sui requisiti patrimoniali. Il “Comitato di Basilea”, istituito nel 1974 dalle banche centrali e dalle autorità di vigilanza bancaria dei 12 principali Paesi industrializzati, stabiliva che gli istituti di credito dovessero garantire i crediti commerciali con l’8% del capitale proprio. Basilea I non teneva conto dell’affidabilità individuale del debitore, così che i crediti meno “buoni” venivano di fatto sovvenzionati da quelli più affidabili. Questa regolamentazione non è stata in grado di evitare le crisi finanziarie che hanno seguito: si pensi si solo a ciò che è accaduto in Asia o in America latina (Argentina) negli anni seguenti.

 

Con Basilea II sono stati stretti ulteriormente i cordoni, prevedendo che tutti i debitori fossero soggetti al giudizio di rating e la banca garantisse con il capitale proprio in funzione del rischio creditizio accertato. In altre parole, i crediti più a rischio dovevano essere coperti con maggiori mezzi propri della banca.

Quale strumento di valutazione del rischio creditizio è stato introdotto il citato rating, di regola elaborato internamente dalla banca per i clienti più piccoli. In questi casi, il debitore stesso non ha alcuna visibilità o possibilità d’intervento per cercare di condizionarne l’esito. I contenuti dei rating differiscono da banca a banca e, pertanto, non sono facilmente confrontabili tra loro: per citare un esempio, l’autore di questo articolo ha potuto visionare i giudizi rilasciati da tre banche altoatesine sulla stessa azienda locale, costatando forti analogie in quanto a tendenze e risultati di massima, ma rilevando ampi scostamenti nei singoli dettagli.

Capitale proprio, cash flow, redditività del capitale complessivo, ROI, durata d’ammortamento dei debiti e liquidità III costituiscono, di regola, la base del rating e sono spesso integrati da altri indici. Oltre ai dati di bilancio, vengono analizzati anche altri parametri strategici come outlook futuro e quote di mercato, ma anche fattori interni come qualifica del personale, per dare forma a un quadro esaustivo, rappresentato poi da un unico “valore”.

In linea di principio, il debitore può scegliere tra il rating interno della sua banca e quello esterno, rilasciato da un’apposita agenzia.

Nel primo caso, i costi sono inferiori (di solito, la procedura è gratuita), ma lo svantaggio risiede nel fatto che il giudizio ha valore solo per la banca che l’ha rilasciato e che il cliente non ha possibilità d’influenzarne l’esito.

La valutazione di un’agenzia di rating esterna, al contrario, può essere resa accessibile e utilizzata da tutti i partner d’affari, come banche e fornitori. Lo svantaggio principale è costituito dai costi più elevati.

A livello teorico, i due rating hanno lo stesso valore ai fini di Basilea II, anche se nel caso di operazioni più “importanti”, spesso, oltre a richiedere un giudizio esterno, la banca ne elabora anche uno interno.

Le classi di rating variano in base a banca e/o agenzia e le valutazioni sono effettuate secondo lo schema seguente:

·         da 1 a 18

·         da “AAA” a “C“

·         da 1 a 10

 

Gli effetti del rating sulle concessioni creditizie possono essere riassunti come segue.

·         Un credito di 1.000 € con una ponderazione del rischio del 20% (quindi considerato “ottimo”) e una garanzia di capitale proprio dell’8% significa che l’istituto concedente deve effettuare un deposito di capitale di 16 € ogni 1.000 € di finanziamento (1.000 x 0,20 x 0,08), pari a una percentuale di capitale proprio depurato dell’1,6%.

·         Un credito di 1.000 € con una garanzia dell’8% di capitale proprio, in presenza di un’affidabilità minore, ovvero di un rischio creditizio più elevato, e di una ponderazione del rischio del 150%, corrisponde a 120 € ogni 1.000 € di finanziamento, pari a una percentuale di capitale proprio del 12%.

Questa regolamentazione, di per se buona, si è rivelata insufficiente, poiché i rating sono stati introdotti e applicati dalle banche con qualche difficoltà, ma anche perché venivano escluse le operazioni speculative, come i “derivative” bond o i certificati strutturati.

Il fatto è che i maggiori rischi non si celano nei finanziamenti stessi, bensì nelle attività speculative messe in atto dalle banche d’affari e nei modelli commerciali che ne derivano.

La nuova disciplina, chiamata Basilea III, prevede la seguente regolamentazione:

·         la quota di capitale proprio, in particolare quella del “nocciolo duro” del core capital, chiamata anche “Tier I”, viene gradualmente innalzata dall’attuale 2% al 4,5%;

·         il suplemento del core capital, costituita dai conferimenti taciti e dalle obbligazioni proprie, deve essere pari almeno all’uno e mezzo percento;

·         a partire dal 2015, il core capital complessivo dev’essere pari almeno al 6%;

·         il rapporto tra capitale complessivo e attività ponderate a rischio deve risultare almeno pari all’8%.

Questo graduale incremento dei requisiti patrimoniali ha comportato, per numerose banche, grossi svantaggi a livello sistematico: dover garantire finanziamenti e operazioni rischiose con una quota maggiore di capitale, significa infatti

·         incrementare il capitale proprio, operazione alquanto difficile; oppure

·         negare finanziamenti più rischiosi, riducendo così l’attività creditizia.

Proprio la contrazione dell’attività creditizia è il maggior rischio insito in Basilea III. Se molti debitori con un rating sfavorevole si vedranno negare un finanziamento, ciò avrà ripercussioni negative sull’economia nel suo complesso.

In futuro, solo le aziende con rating “ottimi” avranno accesso al sistema creditizio, mentre le altre saranno escluse o costrette a pagare interessi più elevati.

 

È probabile che i clienti con rating “AAA” continueranno a pagare interessi del 3,5% mentre, chi si sarà visto attribuire un “CCC”, dovrà fare i conti con tassi molto più elevati, nell’ordine dell’8-10% o, addirittura, sarà escluso dal sistema finanziario.

Nonostante questa regolamentazione sia di per se logica e corretta, permangono alcune critiche nei confronti di Basilea III, che riguardano in particolare i seguenti punti:

·         le banche “ombra” (aziende d’investimento) non sono coinvolte da questo regolamento;

·         in linea di principio, la disciplina riguarda solo le operazioni creditizie, mentre le attività speculative messe in atto con derivati e strumenti finanziari analoghi sono interessate solo marginalmente o per nulla.

Il passato c’insegna che i “banchieri” hanno molta fantasia nell’inventarsi nuovi strumenti finanziari: proprio questi prodotti sarebbero tra le cause della recente crisi finanziaria.

Pertanto, alcuni insigni esperti chiedono che Basilea III sia integrata e ampliata, così da includere tra le operazioni soggette a valutazione tutte quelle messe in atto dalla banca. Inoltre, le attività speculative dovrebbero essere fortemente circoscritte o addirittura vietate, anche se quest’ultimo punto è dibattuto poiché, ad esempio, le operazioni a termine su valute estere rientrerebbero tra queste, ma fanno parte delle competenze di una banca.

Nel numero di gennaio/febbraio 2011 di “Controllermagazin”, Thomas Hermann scrive: “Le nuove regole del gioco previste da Basilea III cercano di arginare le operazioni più rischiose con percentuali patrimoniali più rigide, rendendo difficile la messa in atto “operazioni speculative”. Tuttavia, anche la severità di queste norme è alquanto controversa: l’Economist del 13 settembre le ha definite “not particulary tough”.

Come aggravante, si aggiunge il fatto che i vari governi nazionali, forse, non hanno fatto un buon affare salvando dal fallimento le loro banche principali. Queste operazioni di sostegno hanno confermato che sul mercato esistono aziende troppo grandi per dichiarare bancarotta (“too big to fail”): i governi hanno offerto loro una sorta di “paracadute”, sotto forma di garanzia economica per la loro sopravvivenza. Solo così i manager possono continuare a perseguire in maniera opportunistica il principio del puro profitto: se le cose vanno male, possono fare affidamento sull’intervento pubblico mentre, se gli affari vanno bene, l’azienda porta a casa utili corposi e loro incassano mega bonus. Gli economisti definiscono questo approccio, che favorisce un’operatività non del tutto corretta, “moral hazard”.

Il Comitato per la stabilità finanziaria (FSB) di Basilea ha accolto queste critiche, lasciando intendere che integrerà la normativa. Mario Draghi, presidente di questo board, governatore della Banca d’Italia ed insigne esperto, parla di adeguamenti e cambiamenti necessari. Su “Il sole-24 ore” si legge di un universo bancario diviso in due, uno scenario composto da:

·         serie A, ovvero le banche di grandi dimensioni, “too big to fail”,

·         e la serie B, ovvero tutte le altre.

In un tale contesto, un’eccezione positiva è costituita dal sistema bancario italiano. Già molti anni fa, il legislatore aveva previsto importanti strumenti di tipo normativo e a supporto dell’attività di vigilanza esercitata dalla Banca d’Italia. Questi controlli vengono eseguiti periodicamente e con la massima correttezza, tanto che nessuna grande banca italiana si è trovata davvero in condizioni difficili. In quest’ambito, il mondo finanziario internazionale ha sicuramente da imparare dall’accuratezza dei controlli e della normativa italiana.

Riepilogando, è affermare quanto segue.

·         Basilea III e le successive norme obbligheranno le banche a “premiare” le operazioni meno rischiose e, sul fronte opposto, a effettuare depositi a garanzia delle operazioni più rischiose talmente onerosi, da non renderle più convenienti, così che non verranno più messe in atto.

·         Le aziende dovranno migliorare il loro rating nel minor tempo possibile, al fine di garantirsi l’accesso al credito.

·         Il prezzo di un finanziamento, ovvero il tasso d’interesse, sarà determinato dal rating: le imprese potranno operare per migliorare questa valutazione e, di conseguenza, il prezzo del credito attraverso atteggiamenti personali, formazione dei mezzi propri, riduzione dei prelievi del titolare, ecc.

·         A breve termine, l’economia sarà frenata nella sua crescita dall’introduzione di Basilea III, ma a medio e lungo termine ciò comporterà uno sviluppo stabile, benché più moderato.